GUIDA ROMANTICA

 

Molina di Quosa, la storia è questa. Due ragazzi non ancora ventenni, in cima ai monti, nel pieno di un inverno scattano foto di notte. È quasi mezzanotte e il silenzio è irreale. Nel buio fitto, poco prima di Ciapino, tentano di riprodurre le stesse immagini che hanno visto scintillare nelle cartolerie di mezza Europa. Vogliono, quei ragazzotti, riprodurre le scie di luce delle auto che viaggiano di sotto, laggiù nel piano. Da lassù il paese è bellissimo e il freddo “birbone”. La pellicola è in bianco e nero e quello che faranno è solo un esperimento. Se l’effetto è quello sperato, allora investiranno nel colore. 

Antonio, “il Tordo”, piazza il cavalletto e collega il flessibile ed io lo guardo lavorare come sempre. Lui fa le cose pratiche per le quali è un maestro, io invece da sempre acchiappo le nuvole e stasera, ogni tanto, guardo giù, cercando nell’oscurità di individuare la meraviglia dei luoghi che conosco a memoria. Ma “Il Tordo” questa sera è ispirato e non è solo “colui che fa le cose”, ma si esibisce in una lunga battuta che mi lascia senza fiato: “Lele, Molina è una meraviglia. Questi silenzi, le luci soffuse, le piazze e le stradine, gli angoli e i platani, quegli alberi che non ci farebbero mai sbagliare paese, la fonte in piazza…”. Fa una pausa e poi la butta lì, secca e dura ma bellissima. “Molina sembra la Parigi della Valdiserchio!”. È tutto vero. Ci guardiamo senza dire una parola. Da quella notte non abbiamo mai smesso di sentirci cittadini della Parigi della Valdiserchio. E allora: “Molina, mon amour!”. E questa volta la battuta è mia!

Questo che fra poco leggerete è un libretto di ricordi, i miei. Un punto di vista soggettivo che recupera momenti lasciati lì, pronti per essere richiamati alla mente anche di coloro che non li hanno mai vissuti, “piovuti” o innamorati strada facendo. Determina traiettorie inaspettate. Fa diventare piccoli luoghi centro del mondo, rinfocola passioni e suggestioni. Ricorda nomi, soprannomi, figure indimenticabili, fenomeni e miti. Traccia itinerari del tempo che fu. Prova a portare a galla e ricostruire una memoria collettiva. Distribuisce sogni.

 

È una guida romantica che individua gli anni Sessanta come filo conduttore dell’anima.

Due sono i momenti che ne delimitano i confini e tutti e due sono legati all’elettrodomestico che più di ogni altro cambiò l’Italia in quel periodo: la televisione.

Erano i primi anni Sessanta quando la tv si affacciò a casa mia. La portò dentro uno scatolone un signore e poi passò un pomeriggio a sistemarla. Vedevamo solo un canale. Il sottomonte ci penalizzava nella ricezione dell’antenna del monte Serra. Ma anche se si vedeva solo Il Primo, il salotto di casa mia la sera si riempiva di una decina di persone che ci raggiungevano, alcune con la loro sedia, per guardare i programmi più in voga.  Per me gli anni Sessanta cominciano quel giorno e il ricordo della tv che spunta dallo scatolone, nonostante avessi poco più di due anni, è nitido e non ha mai perso di brillantezza.

La tv è protagonista anche della fine di quello straordinario decennio. L’estate del 1970, per la precisione la sera della festa del patrono di Pisa, San Ranieri. Un paese intero assistette, al bar “La Botteghina” di Bruno, alla vittoria dell’Italia sulla Germania. Quattro a tre fu il risultato e quella notte l’Italia intera non dormì. Lo stesso accadde a Molina. Avevo dodici anni e per me, si chiuse un decennio delle meraviglie. Un periodo che mi ha marchiato per sempre. Essere figlio di una comunità che viveva in sintonia la ricerca della felicità. E una serie di momenti che ormai sono eterni.

Alcuni proveremo a ricordarli attraverso qualche raccontarello, altri con delle foto del tempo che fu o addirittura con dei disegni che ne facciano emergere la poesia, e poi una cartina per non dimenticare, per esempio, che quando si dice “nell’orto” o alle Covinelle oppure “alla curva del Fava”, si sa dove siamo senza dare troppe spiegazioni.