La mostra di José Miguel Angel Gnesi e il concerto di Carlo Boccacci per la festa di San Vittorino a Molina di Quosa
È tempo di festa a Molina di Quosa. Nella settimana in cui ricorre il santo patrono del paese, San Vittorino, Molina mon amour propone due iniziative che, di fatto, segnano l’inizio del cartellone estivo.
L’appuntamento è per sabato 27 maggio: si parte alle 18, al Magazzino di Antonio, sede dell’associazione (piazza Martiri della Romagna 26), con l’inaugurazione della mostra del pittore José Miguel Angel Gnesi, Opere, curata da Stefano Renzoni con la collaborazione del responsabile mostre d’arte di Molina mon amour, il pittore Valter Cecchetti.
La mostra sarà aperta e visitabile anche il 28 e il 29 maggio e il 3 e il 4 giugno dalle 18 alle 20.
Alle 21.30, poi, spazio al concerto del maestro Carlo Boccacci in piazza della chiesa (piazza don Bertini). Insieme a lui, sul palco, la cantante Lucia Goretti. Insieme proporranno un viaggio nella musica italiana (e non solo) che ha fatto la storia. L’occasione sarà perfetta per presentare il cartellone estivo degli eventi di Molina mon amour, che culminerà nella cena di agosto dedicata ad Alessandro Della Croce “il Topino”, socio fondatore dell’associazione, scomparso qualche anno fa.
La mostra di Gnesi non sarà l’unica ad aprire il 27 maggio. Alle “Pile” di via don Sturzo, infatti, sarà nuovamente possibile ammirare l’archivio di don Ilio Parenti, allestito lo scorso anno dai volontari di Molina mon amour in occasione del quinto compleanno dell’associazione. L’archivio dello storico parroco di Molina di Quosa, molto preciso e dettagliato, copre un arco di tempo che va dal 1945 al 1975, tra ricordi e ritagli di giornale. La mostra è curata da Luigi Corti, Patrizia Palla ed Elpidio Tombari. Qui il comunicato del 2022 con i dettagli.
La descrizione della mostra di Gnesi a cura di Stefano Renzoni
Gnesi è un architetto, ma questo vorrebbe dire poco. Per un Le Corbusier che affiancò per lunghi tratti della sua carriera una raffinata attività di pittore a quella ben più famosa di architetto, esiste un altrettanto grande architetto come Walter Gropius, di cui è noto l’impaccio grafico, disegnativo, l’incapacità congenita nel tracciare linee e cerchi, figuriamoci l’estro nel dipingere, che neppure gli fu ingrato: semplicemente non ci fu. Questo per dire che la dimestichezza con il disegno tecnico non è automaticamente trasferibile a quella per la pittura. Si tratta forse di mestieri diversi, contigui ma diversi, e anche nei periodi classici dell’arte italiana, era molto probabile che un architetto affiancasse alla progettazione architettonica l’attività di scultore (Nicola Pisano, Ghiberti, Palladio, Bernini), che non quella di pittore. Gnesi però ha dalla sua un vantaggio, quello di aver frequentato negli anni suoi giovanili l’istituto d’arte, dove la didattica della pittura era un fatto imprescindibile e quasi domestico. Un’attività dunque assai articolata, una formazione ricca e segnata da una costellazione variata, che Gnesi ha coltivato nel tempo con riserbo e attenzione. Questo perché sarà bene sgombrare il campo da equivoci: l’aria da uomo di mondo che talvolta identifica Gnesi, quell’atteggiamento un poco negligente e molto ironico, non è strafottenza, ma nasconde semmai una istintività di fondo. Se quindi nella sua attività architettonica Gnesi sembra ormai aver guadagnato una serenità di fondo, quella pittorica è sempre stato il suo Violon d’Ingres, l’attività svolta come hobby, ma che si precisava in risultati assolutamente significativi sebbene raramente esibiti per un suo sostanziale disinteresse. Ed è questa una compostezza che ci dispiace, perché a giudicare da uno scrutinio anche superficiale dei suoi lavori, sembra che alla pittura, a giudicare dai risultati che anche qui si possono vedere, Gnesi riservi un posto speciale, come di un’attività capace di rivelare pulsioni emotive fortissime, istinti profondi, talvolta scintillanti e cangianti, talaltra perfino rabbiosi e aggressivi. L’attività pittorica di Gnesi si muove del resto su due registri. Uno autenticamente figurativo, fatto di corpi e di volti segnati da un forte vigore espressionistico, da un antigrazioso affascinante e inquieto. Una pittura delineata da un segno lungo, ininterrotto e contorno che segna profili e delimita volumi, ma che sembra arretrare di fronte alla tentazione dell’indagine psicologica. Il volto e il corpo diventano come superfici riflettenti, mosse da un vigore educato e febbrile al tempo steso. Quasi un Lucian Freud stilizzato, anzi, come se quella di Gnesi fosse il destino dei corpi di Freud: la consunzione, e il volto a sghimbescio e stranito prima della follia, o dello stupore. Con un risultato che a me ricorda certi stratagemmi espressivi di Dubuffet. Il secondo registro, assai variato, è invece quello che definiremmo per comodità astratto, nel senso che appare slegato da urgenze descrittive e naturalistiche. Ed è forse questa la pittura più affine, se proprio vogliamo trovare il filo di una coerenza, al mestiere architettonico di Gnesi. Perché i suoi quadri astratti sono dominati dalla deflagrazione, dal dominio del segno, che si articola in ritmi talvolta ossessivi, talvolta franti e spezzati, che stanno in bilico tra i ricordi di Klee, e quelli di Capogrossi, ebbene tutto rivissuti in modo personalissimo, ma senza mai arrivare al caos, pur ragionato, di Vedova o di Pollock. Quadri che tuttavia esprimono una intensità architettonica, un segno che costruisce profili di città fantastiche, skyline urbani impossibili, e non sarà un caso se Gnesi è un lettore appassionato di Italo Calvino e delle sue Città invisibili. Tuttavia Gnesi, anche in opere come queste, mantiene sempre come un senso, un istinto decorativo, come se facesse sue le celebri parole di Braque, intento a cercare la regola che corregge l’emozione. Ed ecco allora che tra le trame ben condotte di Gnesi sembra emergere la seduzione del tachisme francese, di Mathieu in modo particolare. Un uomo inquieto Gnesi, e la sua pittura ci ricorda che si può ridere e scherzare, mantenendo nel profondo il senso turbato per la vita, e che l’arte esprime, spesso, quello che le parole non riescono a dire.
L’artista
José Miguel Angel Gnesi nasce il 18 agosto 1956 a Catamarca (Argentina) e si trasferisce in Italia a otto anni. Frequenta l’istituto d’arte di Cascina per poi iscriversi alla facoltà di Architettura di Firenze, dove si laurea nel 1986. Dopo aver esercitato per tutta la sua vita professionale l’attività di architetto, negli ultimi anni Gnesi si è sempre con maggiore interesse dedicato alla pittura, che adesso occupa un posto di assoluto rilievo nella sua vita professionale ed emotiva.